Divisionismo e Futurismo. L’arte italiana consegnata alla modernità
Venerdì 4 ottobre 2013, nelle sale della Galleria Frediano Farsettii a Firenze, si aprirà un’importante esposizione che ricorda, ad un secolo di distanza, il passaggio dal Divisionismo al Futurismo, dalla sintesi estrema delle correnti artistiche dell’Ottocento all’esplosiva e rivoluzionaria manifestazione del nuovo stile e delle nuove concezioni estetiche dell’arte moderna.
Saranno presenti una trentina di opere di celebri artisti Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Fortunato Depero, Ottone Rosai, Gino Severini, Mario Sironi, Ardengo Soffici e Lorenzo Viani.
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Come è noto, la partecipazione di Giovanni Segantini, Gaetano Previati e Angelo Morbelli alla Triennale di Brera a Milano nel 1891 segnò la data d’inizio ufficiale del movimento divisionista in Italia. I suoi esponenti si ispirarono, in misura maggiore o minore, al pointillisme francese di Georges Seurat e Paul Signac, ma lo rielaborarono in maniera personale e originale, smussandone il rigore e gli eccessi razionalisti.
Giacomo Balla (nato nel 1871) costituì il punto d’incontro e di passaggio tra due generazioni di artisti e precisamente tra Segantini e Previati (nati rispettivamente nel 1858 e 1852) e Umberto Boccioni, Carlo Carrà e Gino Severini (nati rispettivamente nel 1882, 1881 e 1883).
Dopo aver eseguito quadri con tematiche sociali, come La giornata dell’operaio, del 1904 e La pazza, del 1905, Balla mutò radicalmente stile e impostazione, dipingendo Lampada ad arco, nel 1909, lo stesso anno in cui, a Parigi, Filippo Tommaso Marinetti dava inizio al movimento Futurista.
Poco dopo, nel febbraio del 1910, venne pubblicato il Manifesto dei pittori futuristi, firmato da Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Gino Severini, Luigi Russolo e dallo stesso Balla.
La mostra
Il percorso espositivo è stato ideato per mostrare ai visitatori le complesse e radicali trasformazioni stilistiche ed estetiche che tra il 1910 ed il 1920 hanno permesso il rinnovamento dell’arte italiana, parallelamente allo sviluppo delle principali avanguardie internazionali.
Come scrive Marco Fagioli, “La mostra documenta in modo esatto tale passaggio, dal Balla divisionista, con Campagna romana, 1902 ca., lo splendido Germogli primaverili (Paesaggio di Villa Borghese), 1906, Ritratto di signora, 1907, Nel prato, 1908 ca., tutti dipinti che avvisano l’imminente arrivo della rivoluzione formale futurista.
Di Boccioni le tre opere presenti, tutti momenti elevati del suo lavoro, rendono giustizia piena: il Pagliaio al sole, 1908, un tripudio di luce e di colore che attesta un legame non solo tematico con la serie famosa dei Meules, 1891, di Claude Monet (il vero iniziatore del plein-air, “l’impressionista all’avanguardia” più di ogni altro), il paesaggio con le ciminiere di Crepuscolo, 1909, e il Nudo disteso, femminile, vero e proprio manifesto di quel linguaggio “simultaneo” cubo-futurista che solo in Boccioni trovò i suoi esiti perfetti.
Il Futurismo, nella sua pienezza di rivoluzione spaziale nella concezione della forma, appare anche nel Paesaggio toscano, 1912, di Severini, in Ritmi e linee, 1912, di Carlo Carrà, ne La ballerina del San Martino, 1915, e nel collage L’Arlecchino, 1915, di Mario Sironi; vengono in mente allora alcuni punti del Manifesto del 1909: “La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno […] Non v’è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro […] Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie […] Il Tempo e lo Spazio morirono ieri […] È dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il Futurismo […]”.
Di Ottone Rosai, più giovane di quindici anni degli altri futuristi, che è stato alla fine il vero “frutto puro” della pittura fiorentina, la mostra rende tre piccoli capolavori: il magico Follie estive, 1918-19, in cui una visione di assoluto candore del teatrino sull’Arno diviene elegia scompositiva di linee, volumi e colori, come in un Braque, e Serenata, 1919-20, in cui le potenti e primitive figure della sua Firenze popolana assumono l’incanto lirico della pittura del Trecento.
Rimarrebbe ancora da parlare di quella singolare Composizione futurista, 1929-30, di Lorenzo Viani, pittore e scrittore apuano ribelle, un dipinto a tempera e collage che sembra anticipare profeticamente certi esiti della successiva arte surrealista.
E ancora di Fortunato Depero, nativo della Val di Non, autodidatta che si fece futurista a Roma nel 1914, partecipando al gruppo che esponeva presso la Galleria Sprovieri: il suo dipinto è un esempio canonico di
“simultaneità” visiva”.
Alcune delle opere esposte
Giacomo Balla, Linee-Forza del pugno di Boccioni II, 1915/1955, scultura in ottone verniciato, cm
75,5×25,5×80,5
Umberto Boccioni, Crepuscolo, 1909, olio su tela, cm 90×120
Umberto Boccioni, Nudo disteso, olio su carta, cm 30,5×40,5
Carlo Carrà, La ballerina del San Martino, 1915, tempera su carta, cm 59×43,5
Ottone Rosai, Serenata, 1919/1920, olio su tela, cm 68×44
Ottone Rosai, Bottiglia e ciotola, 1919, olio su tela, cm 30,2×40,4
Gino Severini, Femme assise, 1914, pastello e carboncino su cartoncino, cm 26,2×26,2
Gino Severini, Paesaggio toscano (Equivalente plastico di un paesaggio), 1912, olio su tela, cm 65×50
Mario Sironi, Figura futurista (Antigrazioso), 1913/1914, olio su tela, cm 84,5×59,5
Ardengo Soffici, Natura morta (Parafuoco), 1940, olio su tela, cm 55×49,5
SITO WEB: galleriafredianofarsetti.it